Il filo infinito: l’abbazia di re Desiderio nell’ultimo libro di Paolo Rumiz

 

Quante sorprese nel mondo subalpino. Leno, per esempio, nella Bassa Bresciana, monastero fondato nell’ottavo secolo da una pattuglia di benedettini di Montecassino guidati da tale Ermoaldo e chiamati dal re dei Longobardi DesiderioDell’abbazia è rimasto poco o niente – solo ora ne stanno venendo alla luce le fondamenta, nel parco di una villa ottocentesca – ma grazie a una fondazione e a una piccola banca di credito cooperativo, l’antico spazio sacro sta tornando a vivere con un ventaglio di attività coerenti con la filosofia del Santo: fiere, università popolare, corsi di teatro, campi scuola estivi per i bambini, cultura, incontri fra associazioni del territorio. Un piccolo miracolo italiano nel segno del motto Ora et labora et lege et noli contristari – prega, lavora, studia e non farti prendere dalla sfiducia. Si semina, si raccoglie, ci si àncora al territorio per costruire il buono attraverso la ricerca del bello, la conversio ad pulchrum pro bono”.

CP_Rumiz_CassaPadana

Pagina 56 de Il filo infinito, l’ultimo libro di Paolo Rumiz che racconta San Benedetto e i suoi monasteri. In queste righe c’è anche il monastero di Leno, quello a cui Cassa Padana (“una piccola banca di credito cooperativo”) con la Fondazione Dominato Leonense (“una fondazione”) lavorano da oltre un decennio.

Un riconoscimento importante per noi e per questo viaggio del giornalista triestino che l’anno scorso, nel nome dell’Europa, ha cercato i discepoli di Benedetto da Norcia, santo protettore di questo nostro vecchio continente, nelle loro abbazie, dall’Atlantico fino alle sponde del Danubio.

Li ha trovati Rumiz, in luoghi più forti delle invasioni e delle guerre. Sono uomini che “vivono secondo una ‘regola’ più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l’utopia dei loro padri: quelle nere tonache monacali ci dicono che l’Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. Una terra ‘lavorata’, dove – a differenza dell’Asia o dell’Africa – è quasi impossibile distinguere fra l’opera della natura e quella dell’uomo”.

Un paradiso questa nostra Europa. “Che è insensato” scrive Rumiz, “blindare con reticolati”.

Da dove se non dall’Appennino” aggiunge, “un mondo duro, abituato da millenni a risorgere dopo ogni terremoto, poteva venire questa formidabile spinta alla ricostruzione dell’Europa? Quanto è conscia l’Italia di questa sua centralità se, per la prima volta dopo secoli, lascia in macerie le terre pastorali da dove venne il segno della rinascita di un intero continente? Quanto c’è ancora di autenticamente cristiano in un Occidente travolto dal materialismo? Sapremo risollevarci senza bisogno di altre guerre e catastrofi?”.

Condividi l'articolo

Ti potrebbe interessare...