Il giardino dei Semplici

Nel medioevo i monasteri erano tenuti a realizzare, secondo le prescrizioni della regula dettate da San Benedetto, un orto, spesso detto hortus simplicium, tradizionalmente definito Giardino dei semplici, dove venivano coltivate essenze aromatiche, erbe officinali e medicinali, oltre alle verdure destinate alla mensa dei monaci.

Il termine semplici evoca la medicina simplex, così definita perché usava come medicamenti la singola pianta medicinale o l’estratto che da essa si ricavava. L’esperienza aveva poi introdotto metodi combinatori, che hanno consentito nei secoli di predisporre nelle più grandi abbazie d’Europa composti sempre più raffinati ed efficaci.

Erano gli stessi monaci che si incaricavano e si specializzavano nel coltivare e far crescere le piante, nel raccoglierle e trasformarle in balsami e unguenti, unici presidi indispensabili per curare i monaci stessi, gli ospiti e i pellegrini che venivano accolti nel monastero.

L’odierno Giardino dei Semplici di Villa Badia, realizzato dalla Fondazione Dominato Leonense in collaborazione con Legambiente – Sezione di Leno, ripropone l’impianto dell’antico hortus simplicium del monastero di San Benedetto ad Leones di Leno.

I quattro settori, in cui i due vialetti perpendicolari lo suddividevano, nel medesimo schema che viene riproposto in scala ridotta, oltre a evocare i quattro fiumi del Paradiso, richiamavano i quattro punti cardinali e i quattro elementi: acqua, terra, aria e fuoco, che secondo gli antichi erano alla base di tutte le manifestazioni della vita terrestre.

Solitamente al centro era collocato un elemento simbolico, come un pozzo o una cisterna, simbolo di Cristo, sorgente di vita; oppure cresceva un albero, che simboleggiava l’albero della vita del Paradiso terrestre.

I monaci vi coltivavano varie essenze. Ne troviamo un lungo elenco nel Capitulare de villis, Capitolare delle ville, il provvedimento con cui Carlo Magno tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del IX aveva stabilito che fossero obbligatoriamente coltivate in ogni grande azienda agricola del regno.

Anche Valafrido Strabone, monaco di Reichenau, il monastero sul lago di Costanza affratellato con l’abbazia di Leno, nella prima metà del IX secolo ne aveva steso un preciso elenco, che aveva inserito nel suo trattato De cultura hortorum, Libro della coltura degli orti, con l’intento di indicare quelle che non potevano mancare nell’hortus simplicium di ogni abbazia.