Sono numerosissime le fonti documentarie, conservate negli archivi di Leno, Brescia, Milano e Venezia, che da sempre testimoniano la presenza, sul sito oggi occupato dall’ottocentesca Villa Badia, dell’antico monastero maschile, fondato dal re longobardo Desiderio nel 758 d.C e dedicato a S. Benedetto.
Risale ormai a più di dieci anni fa la prima campagna di scavi, svolta sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, e allora tenacemente voluta da Cassa Padana, realizzata con lo scopo di verificare le numerose ipotesi fatte dai ricercatori al riguardo.
In particolare essa aveva visto in prima battuta l’impiego della sofisticata tecnologia del GPR (Ground Probing Radar) che, attraverso l’emissione di un’onda elettro-magnetica propagata nel sottosuolo, aveva indagato buona parte dell’area di fronte alla villa ottocentesca e in un secondo tempo l’apertura di alcune trincee e diversi sondaggi. I dati ricavati, nonostante l’esiguo numero di strutture murarie conservate, avevano permesso di ricostruire con buona approssimazione l’evoluzione cronologica delle chiese monastiche che si erano succedute in dieci secoli di vita del monastero, oltre che gli ingombri principali degli ambienti in cui si volgeva la vita quotidiana dei monaci.
In particolare erano state riconosciute la posizione e le dimensioni della prima chiesa abbaziale, voluta da re Desiderio, e tutte le trasformazioni che ad essa erano state apportate fino al XIII secolo. Inoltre erano stati scavati alcuni ambienti del chiostro monastico e numerose sepolture ad esso associate.
La seconda campagna aveva interessato l’area ad est della villa e si era svolta nell’inverno tra il 2009 e il 2010. Con grande sorpresa di tutti gli studiosi coinvolti, essa aveva dato conto della presenza di un’altra chiesa, di dimensioni nettamente inferiori rispetto a quella abbaziale, con una fitta necropoli associata, utilizzata almeno fino al XVII secolo. Fra gli elementi più dibattuti di quest’ultimo intervento, vi sono stati l’intitolazione del piccolo saccello sacro (S. Maria o S. Giacomo?), e l’attribuzione cronologica della grandissima fondazione (1,80 m di larghezza) di un muro che dall’abside della chiesetta determinava il limite orientale della necropoli e con buona probabilità quello del monastero stesso.
L’ultima campagna di scavi, infine, è stata svolta nei mesi di Settembre e Ottobre di quest’anno – promossa da Fondazione Dominato Leonense e Cassa Padana Bcc – e ha visto come oggetto d’indagine il terreno posto a nord di Villa Badia.
Sul sito sono state realizzate 21 trincee. Lo scopo dell’indagine è stato quello di accertare la presenza di stratigrafia antropizzata, ovvero di un deposito archeologico che contribuisca a completare il quadro già emerso dagli scavi fatti negli anni passati.
A dispetto della scarsa potenza della stratigrafia indagata nelle campagne precedenti, l’area ha rivelato la presenza di un deposito ricchissimo di informazioni. Pochi centimetri al di sotto del terreno vegetale, infatti, sono subito emersi livelli di macerie (fra le quali sono stati riconosciuti anche elementi decorativi in pietra di notevole interesse), alcune strutture murarie ben conservate, numerosi frammenti di ceramica databile tra l’Età Tardo Antica e l’Età Rinascimentale, ma soprattutto quella che tecnicamente viene definita dark earth, ovvero “terra scura”.
Tali depositi, caratteristici dei siti di Età Altomedievale (V-X sec.d.C.), sono costituiti da terreno che spesso assume una colorazione quasi nerastra determinata dalla presenza di una forte componente organica mescolata al terreno, risultato dell’abbondante presenza di rifiuti e scarti di cibo e dell’utilizzo del legno per la costruzione delle abitazioni civili.
La presenza della “terra scura” e soprattutto il suo rapporto (ancora tutto da indagare) con i resti dell’antico monastero di fondazione longobarda, aprono un ventaglio completamente nuovo di interrogativi, che risulta ancor più carico di aspettative considerata l’ottima conservazione di tali depositi e il fatto che ad oggi, nella provincia bresciana, non è mai stato indagato un sito di Età Altomedievale di pari estensione.
Articolo scritto da Denise Morandi, Archeologa