di Angelo Baronio,
Coordinatore scientifico Fondazione Dominato Leonense
Sono di straordinario interesse i risultati dell’ultima campagna di scavo in villa Badia a Leno sul sito del monastero di San Benedetto ad Leones. Le indagini degli ultimi quattro anni, coordinate da Andrea Breda della Soprintendenza di Brescia e Bergamo e condotte dal gruppo di archeologi dell’Università degli Studi di Verona sotto la guida di Fabio Saggioro, hanno messo in luce un vasto insediamento, collocato nella zona nord dell’area dei chiostri abbaziali, evidenziando ampie strutture abitative, artigianali e di servizio.
Accanto ad esse, proprio nelle fasi conclusive della campagna di quest’anno, sono emerse imponenti strutture lignee (tronchi di palo e travi) e resti di muro con superfici pavimentali e tracce di focolari, tutti elementi riferibili ad un edificio di circa 200 mq, verosimilmente parte di un più vasto complesso, tutto da esplorare.
La singolarità dei ritrovamenti e la loro apparente incoerenza con il livello della stratificazione raggiunta dallo scavo, riferibile ai secoli dell’alto medioevo, ha indotto gli archeologi a sottoporre i reperti all’esame del radiocarbonio. La decina di test eseguiti ha dato un esito inequivoco, collocando la datazione dei reperti nella seconda metà del VII secolo.
Si tratta, dunque, di un edificio che precede l’erezione del monastero, fondato nel 758 dall’ultimo re longobardo Desiderio.
Di che edificio si tratta? Quale funzione aveva? A chi si deve riferire? Sono tutte domande che attendono risposta. A giudizio degli stessi archeologi, che stanno eseguendo i lavori, le strutture venute alla luce non trovano raffronti non solo nel nord Italia, ma neppure nel resto dell’intera penisola. Edifici analoghi sono presenti, invece, in pochissime unità, in centro Europa, tutti qualificati dagli esperti come palazzi regi.
La suggestione, allora, rimanda alle parole di Fredegario, lo storico franco, il quale afferma che Rotari, re dei Longobardi dal 636 al 652, era originario del territorio di Brescia.
Certo è che a Leno e nei dintorni a metà del VII secolo è accertata la presenza di gruppi di nobiles, direttamente discendenti dai quegli arimanni, che furono protagonisti tra il 568 e il 569 dell’emigrazione dalla Pannonia. Lo testimoniano le vaste necropoli scavate nei decenni scorsi.
Una presenza di prestigio, che è pure confermata dal ritrovamento, a poca distanza dal sito del monastero presso la pieve di San Giovanni, della tomba di Radoni, protagonista di primo piano delle vicende del regno ai tempi del re Grimoaldo.
Che a lui e ai membri della sua famiglia, forse la stessa di Desiderio, si debba la costruzione di tale immobile, non è da escludere, se dobbiamo dar credito al racconto di Jacopo Malvezzi. Scrivendo nei primi anni del quattrocento e narrando di Desiderio, lo storico bresciano afferma, che la famiglia dell’ultimo re longobardo possedeva vaste proprietà nel cuore della Bassa bresciana tra Mella e Chiesa e a Leno beni cospicui e una domus, accanto alla quale egli prima aveva fatto edificare la chiesa dedicata al Salvatore, alla Vergine e a San Michele Arcangelo e, in seguito, erigere il monastero dedicato al Salvatore e poi a San Benedetto.
Indizi, testimonianze, suggestioni, che si assommano e che rendono più che mai urgente continuare non solo l’indagine archeologica, ma anche la rapida pubblicazione della copiosa serie di documenti dell’archivio monastico, indispensabili per dare risposta alle domande, che si moltiplicano, sulle vicende dei Longobardi in terra bresciana e per ricostruire l’affascinante storia della potente abbazia leonense.