Don Luisito Bianchi è stato un sacerdote – un prete come si definiva lui – che ha fatto del concetto di gratuità un vero e proprio stile di vita.
Nato a Vescovato (CR) nel 1927, dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1950 don Luisito ha sempre rifiutato compensi per la sua funzione Ministeriale: una scelta coraggiosa ma necessaria che richiama fortemente il messaggio che San Paolo scrive ai Corinzi (1Cor 9, 14-18):
“14 Così anche il Signore ha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo. 15 Ma io non mi sono avvalso di nessuno di questi diritti, né ve ne scrivo perché ci si regoli in tal modo con me; preferirei piuttosto morire. Nessuno mi toglierà questo vanto! 16 Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! 17 Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. 18 Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo”
«Un punto di riferimento per chi ama la letteratura, per i critici e per i lettori che hanno trovato nei libri di questo autore un seme di verità, una parola vera e necessaria»
Avvenire
È il 5 febbraio del 1968 e don Luisito Bianchi fa il suo ingresso in fabbrica alla Montecatini di Spinetta Marengo in provincia di Alessandria. All’insaputa di tutti, soprattutto dei colleghi, è operaio turnista addetto alla lavorazione dell’ossido di titanio. Quando ne uscirà saranno passati tre anni, un periodo che lo stesso sacerdote definisce cruciale per la propria vita e che rappresenta “la cerniera delle due ante della mia vita, del prima e del dopo”.
Quel periodo Luisito Bianchi lo ha raccontato per la prima volta nel 1972 nel libro “Come un atomo sulla bilancia”, cronaca fedele dell’immersione in fabbrica, che porta insieme gioia e profonda lacerazione interiore. A distanza di quarant’anni, la Sironi Editore ha pubblicato il diario di quei tre anni di lavoro, nel quale Don Luisito ha raccolto giorno per giorno le proprie riflessioni e pensieri dando forma a una storia che non smette mai di stupire per la sua straordinaria attualità: “I miei amici – Diari (1968-1970)”.
Successivamente, proseguì l’attività lavorativa prima come inserviente in ospedale ed infine come traduttore.
«Un autore di densissimo spessore umano e spirituale»
La Stampa
«Don Luisito Bianchi è sempre stato ed è un prete “scomodo”, di quelli pronti a mettersi in gioco»
L'Unità
Ha pubblicato: Sfilacciature di fabbrica (1970), Come un atomo sulla bilancia (1972), Dialogo sulla gratuità (1975), Salariati (1980), Gratuità tra cronaca e storia (1982), Dittico vescovatino (2001), La messa dell’uomo disarmato (2003), Simon Mago (2002).
Il suo libro più famoso, “La messa dell’uomo disarmato”, diventato caso letterario nel 2003, rappresenta con i mezzi della letteratura un’esperienza per lui profonda e cruciale: la Resistenza. Il dattiloscritto viene letto da alcuni amici che ne intuiscono il valore e, nel 1989, ne curano la prima pubblicazione autofinanziata. Il libro comincia così a diffondersi di mano in mano e, nel 1991, viene addirittura approntata una ristampa. Nel 2003 l’editore Sironi, imbattutosi come tanti in quest’opera straordinaria, la propose al grande pubblico, dove tutt’oggi continua a ottenere ampi consensi.
Su richiesta dello stesso don Luisito e, in seguito alla morte sopraggiunta nel 2012, per volontà degli eredi è nato il Comitato del Fondo Luisito Bianchi. La famiglia, gli amici di Vescovato (suo paese natale) e dell’abbazia Viboldone (MI) dove visse per anni come cappellano, la Fondazione Dominato Leonense ETS e Cassa Padana BCC hanno così posto le basi per un centro culturale a lui intitolato: Casa Doreàn, dal nome che don Luisito dette a un cane trovatello poi donato a una comunità e come la parola che significa gratuitamente, in gratuità, e identifica l’esistenza e il ministero di questo uomo eccezionale.
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