L’intimo sogno di Luisito Bianchi

Era un temperato giugno quell’anno del 2011 quando don Luisito, degente da alcune settimane all’Istituto don Carlo Gnocchi di Milano, cullava un sogno. Dei sogni s’ignora se siano premonitori o l’esito di qualche elaborazione inconscia determinata da intimi desideri che riemergono dall’inconscio a testimonianza di un evento emotivo che ha marcato la coscienza vigile; e il suo era uno di quei sogni, per chi l’ha conosciuto un poco, nei quali amava perdersi; insano e folle come il suo venerato don Quijote.

luisito Bianchi a Viboldone

Eravamo scesi in cortile per una boccata d’aria che non fosse il vestibolo del reparto, lui in carrozzina e io a spingerlo. Chi dei due, lo sciancato o il degente, fosse il “caballero dalla triste figura” impegnato nella battaglia per sanare le ingiustizie del mondo o il prudente scudiero Sancho Panza, per geloso concorso a essere entrambi, non mi è ancora oggi dato sapere. Lui disincantato, consapevole dell’imminente chiusa dell’arco di vita che c’è concessa, frenata la carrozzina su uno scivolo, e io, dopo che m’ero seduto sul muretto inclinato dove uno spicchio di sole biancheggiava ogni cosa e c’intiepidiva discreto, iniziammo a vagheggiare sulla fine che avrebbero fatto le sue cose.

«Dammi un nome, una comunità religiosa che stimi e che possa fare di te e le tue cose buona custodia e buona memoria.»
Non ricordo se m’aveva colpito prima, in tutta risposta, il celeste dei suoi occhi o lo sguardo disilluso del capo girato appena in verso a me. Non ero, e non lo sono tuttora, molto pratico di cose clericali e m’era venuta tosto in mente come termine di paragone la figura di Pasolini, rigoroso anarchico, e di quanto stavano facendo di lui e dei suoi scritti corsari.
«Vuoi correre il rischio di fare la fine del maiale?»  Mi guardò perplesso e interrogativo. «Una volta morto, ognuno lo spezia e propina l’insaccato come vuole. È così che di Pasolini stanno facendo.» Amabile fu il silenzioso sorriso in tutta risposta.

Chiamammo al telefono Luigi, sì, Luigi Pettinati, al quale avevo anticipato in una visita l’enorme e importante mole del suo fondo bio-bibliografico. «Originale?» gli avevo detto durante l’incontro «… ça va sans dire.»
Con l’affettuoso quanto imperativo ricordo di quel giorno, cominciammo insieme a farneticare sui dettagli della sua aia e del rustico della casa paterna fino alla sua scomparsa, avvenuta il 5 gennaio 2012, cioè qualche mese dopo, e la potenzialità che il luogo portava in sé per fare custodia e memoria del suo lavoro e della sua vita di uomo e di prete a testimonianza.

Ebbene, a distanza di cinque anni dalla sua scomparsa, il vagheggiato desiderio di don Luisito sta divenendo realtà. Il Comitato del “Fondo Luisito Bianchi”, costituito il 23 gennaio 2013 in seno alla Fondazione Dominato Leonense di Leno, può ora comunicare la messa in opera del Progetto Tecnico di Ristrutturazione, del rustico sito in via Giacomo Matteotti al civico 67, casa natale di don Luisito Bianchi, donata dagli eredi alla Fondazione Dominato Leonense. Il Comitato si fa interprete per amicizia, del desiderio di don Luisito, che la casa paterna potesse diventare il Topos per la custodia del suo patrimonio librario, epistolare, letterario e musicale; in particolare, per la sua ideale volumetria, nel plesso conosciuto come rustico; invece, che per la parte la parte abitativa vera e propria da destinarsi, eventualmente, a bisognosi o studiosi che chiedano di soggiornare il tempo necessario per le loro ricerche d’archivio.

L’intervento di ristrutturazione/ricostruzione del rustico è operato con l’intento di ottenere un ambiente atto alla conservazione degli scritti e dei libri, prevedendo altresì i dispositivi/presidi per la loro conservazione. A pianterreno s’intende ricavare uno spazio atto alla consultazione tradizionale/digitale, che all’occorrenza può trasformarsi in spazio per incontri, presentazioni e attività culturali, mentre nella parte rialzata trova sede il fondo librario costituito da 3.000/3.500 volumi; la sua produzione musicale; le teche dei suoi manoscritti/dattiloscritti e il materiale personale delle sue ricerche; una sala di lettura/consultazione e una sala per le riunioni di attività del Fondo.

Progetto del Fondo e della Fondazione Dominato Leonense, per il quale è già stato stanziato un adeguato finanziamento, è l’archiviazione di tutto il materiale del Nostro, nonché la catalogazione del Fondo Librario per renderlo disponibile al circuito ISBN della vostra Biblioteca comunale Giuseppe Bonisoli o altri sistemi bibliotecari provinciali, quale ‘costola’ della Biblioteca comunale stessa, magari sotto la denominazione: ‘Sala Luisito Bianchi’. Proposito del Fondo e della Fondazione Dominato Leonense per la ristrutturazione del rustico, è altresì l’organizzazione di attività culturali per la diffusione delle opere di don Luisito, sì da evidenziare la testimonianza intellettuale, religiosa, civica, che don Luisito rappresenta a tutt’oggi per la cultura cristiana.

L’attività che avrà luogo nel rustico ristrutturato, o, Casa Doreàn, sarà la gestione degli scritti editi e inediti, la trascrizione dei don Luisito a Vescovato 1996manoscritti, la curatela e stampa, la divulgazione delle opere, per tramite del costituendo Comitato Scientifico del Fondo e della Fondazione Dominato Leonense, che di volta in volta demanderà a studiosi, laici e religiosi, l’analisi critico-letteraria del lascito, sì da individuare il corpus unicum della sua testimonianza e i mezzi idonei per la sua diffusione. Vi saranno raccolti gli attestati di stima o di critica, pubblici e privati, di carattere religioso, Resistenziale o letterario, di cui il Nostro è stato oggetto; e con l’intento di delineare con la sua sensibilità di uomo-prete-scrittore verrà custodito, organizzato e reso fruibile nel tempo per tramite del Official Website costruendo, quanto Egli ci ha lasciato, dalla tesi universitaria sui Salariati cremonesi, all’ultima composizione musicale, passando per romanzi, novelle, racconti, editoriali e omelie.

Il Comitato di gestione del Fondo e la Fondazione Dominato Leonense che presentano questo progetto di ristrutturazione, si propongono di organizzare e favorire in esso per il futuro, eventi, incontri, convegni: di sacerdoti, intellettuali, scrittori, poeti, musicisti, con manifestazioni annuali/biennali/triennali, nelle date che furono particolari tappe e segni della Sua vita, sì che la casa natale diventi un luogo di approfondimento, di studio e di stasi riflessiva, per l’attenzione/tensione sulla sua testimonianza di prete; cosa viva per la comunità vescovatina, cremonese e, dato lo spessore culturale e religioso per molti aspetti ancora ignorato del Nostro: nazionale.

A tale proposito gli spunti da:Monologo Partigiano sulla gratuità”, la sua opera principale riguardante …la mia amata Chiesa…, offrono orizzonti di dibattito infiniti e occasione di confronto, per la coerenza del suo richiamo alla tradizione bimillenaria della stessa nei dibattiti conciliari sulla Gratuità del Ministero. Così come può essere periodico un convegno dedicato al Lavoro, quale momento di ricerca e di studio sui passaggi cruciali dei diari di fabbrica del Nostro rapportati alla realtà del lavoro di oggi, coinvolgendo sindacalisti e rappresentanze sociali, per disegnare una nuova dignità dello stesso.
Dal suo libro: “Lettera all’amico Vescovo”.

“Quel giorno entravo in una grande fabbrica in qualità non di cappellano del lavoro ma di manovale turnista, assieme a una trentina di terremotati del Belice, assunti in prova come me, quel cinque febbraio. Posso dire che i tre anni di fabbrica assieme ai due e mezzo come inserviente (facente funzione d’infermiere) in una clinica ortopedica, costituiscono il cuore della mia vita; ogni giorno covoni, grembiulate di misure bene pressate, di doni sempre nuovi, imprevedibili, da sommergermi in rendimento di grazie. Ah mia chiesa! Non ne avrei accolto nessuno, non ne avrei avuta la possibilità, se non mi fossi sentito io stesso chiesa che evangelizzava nel momento in cui era evangelizzata, e solo a questa condizione.”

Così iniziava la sua esperienza di lavorare con le proprie mani per il sostentamento materiale al fine di essere gratuito nel Ministero sacerdotale, da Lui vissuta alla Montecatini di Spinetta Marengo e ancor prima vissuta nei tre anni di Assistente nazionale alla formazione delle Acli; alla preparazione in Belgio di un’eventuale Missione presso vescovi autoctoni in estremo oriente, dove venne a contatto e conoscenza della Thèologie du Travail.
Il Comitato di gestione del Fondo, la Fondazione Dominato Leonense e gli Eredi, si augurano con questo impegno di favorire l’umana testimonianza di don Luisito, facendo proprie le parole scritte in una lettera dall’amico Marzio Pieri:

“Bisogna tener duro sull’epos contadino e cristiano della Messa (La messa dell’uomo disarmato n.d.r.) e su quello operaio e cristiano degli Amici (I miei amici. Diari di fabbrica 1968 – 1970 n.d.r.). Il teologo era di buona carne (don Luisito n.d.r.) ma temo finirà nella gola di ben altre balene. V’è nella chiesa una crisi simile ad una tisi all’ultimo sbocco. Falsi credenti e finti amici fanno finta di nulla ma i pochi veri fedeli lo sanno e se lo confessano.”

E quale miracolo non sarebbe, se i lavori di ristrutturazione di Casa Doreàn terminassero in tempo per l’inaugurazione il 5 febbraio del 2018, data che ricorrere fatale alla sua definitiva consacrazione alla Gratuità del Ministero, come Egli stesso scrive in “Un cane e un prete di nome Dorean”.

Finito il manoscritto alle ore quindici e trenta di venerdì 29 novembre ’96, nella vecchia casa di Vescovato, mentre ascolto le variazioni di Bach sul corale Allein Got BWWV 771 suonate da F. Germani, all’organo della chiesa parrocchiale di Magadino, il 27 febbraio 1967. Finita la battitura alle ore diciannove, del 5 febbraio ’97, nella vecchia casa paterna, mentre ascolto la messa in si minore di Bach, esattamente, all’Incarnatus est. Ventinove anni fa, il giorno di sant’Agata, entravo alla Montecatini di Spinetta Marengo come manovale chimico. Queste righe, almeno così partigiane, non sarebbero state possibili se non ci fosse stato quel 5 febbraio.”

 

di Pier Carlo Rizzi (Fondo Luisito Bianchi) 

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