Sono già trascorsi due anni dalla scomparsa del sacerdote cremonese Luisito Bianchi, eppure i valori che egli ha testimoniato durante la sua esistenza sono più vivi che mai. Lo scorso anno, grazie ai numerosi scritti che ha lasciato, sono stati pubblicati due romanzi postumi di grande interesse: “Il seminarista”, edito da Sironi Editore, e “Lettera all’amico Vescovo”, Edizioni Dehoniane.
Il seminarista “E’ un dono inatteso e prezioso, perché si tratta di un testo di altissimo livello. Un’opera che se la nostra società letteraria non fosse così distratta e dominata da un’assurda forza centrifuga, sarebbe stata notata non solo da pochissimi recensori, come sinora è accaduto. (…) Non pensiamo di esagerare se affermiamo che Il seminarista è un piccolo capolavoro della narrativa.» Così ha scritto il giornalista Roberto Carnero il 30 giugno 2013 sul Domenicale de Il Sole 24 ore.
In questo romanzo, ambientato nell’Italia contadina, Luisito Bianchi racconta la storia della maturazione di un uomo, dalla spensieratezza della sua infanzia passando per i dubbi della gioventù, nel periodo che va dall’inizio della guerra fino alla Resistenza.
Protagonista un giovane seminarista, proveniente da un’umile famiglia di campagna, che deve fare i conti con la propria volontà: seguire l’amore per Dio e rimanere fedele alla propria vocazione, “estraniandosi” così dalla difficile realtà della guerra, oppure partecipare alla Resistenza insieme a chi lotta per tenere vivi gli ideali della giustizia.
Anche se il romanzo non può essere considerato autobiografico, le emozioni del giovane seminarista riflettono i turbamenti di Luisito, in questa scelta travagliata che lo accompagnerà per tutta la sua vita. Scrive l’autore: «Bisognava pregare per la pace, bisognava pregare per la vittoria. Una preghiera strana. Politicamente bisognava fare la guerra, religiosamente bisognava pregare per la pace».
Nella “Lettera all’amico vescovo”, Luisito torna invece su un tema molto caro e più volte affrontato: la gratuità del ministero sacerdotale. Il volume è un’ideale lettera che egli invia all’amico vescovo, per ricordare quanto il desiderio di annunciare il Vangelo sia dono di grazia e non oggetto di un contratto. Scrive Luisito: «Io ero in fabbrica e sperimentavo come quel tipo di lavoro potesse permettere l’attività cosiddetta pastorale. Con i turni che quotidianamente cambiavano, sempre 24 ore fra un turno e l’altro, ci sarebbero state buone possibilità di tempo per un’attività di aiuto parrocchiale se fosse stato necessario. C’erano infinite possibilità, in teoria, di mantenersi senza rinunciare a nessuna attività parrocchiale; bastava provare. Soprattutto, mi dicevo, bastava alzarsi un mattino e gridare davanti a Dio e alla propria coscienza, vescovo, prete, parroco o curato che si fosse: «Basta, da oggi tutto è gratuito, capiti quel che vuole capitare».
I valori dei quali egli parla nei suoi libri sono realmente immortali. E l’immagine di Luisito oggi la suggerisce Marco d’Agostino, curatore del volume: “L’onestà della fede non può dar torto a Don Luisito. E dargli ragione, come sto facendo io, è ancora troppo poco. Lui è sempre lì, con la sua parola ferma, specchio dell’altra [Parola] che non passa.”